La lettura delle beatitudini ci fa pensare ad uno stato di felicità
raggiungibile solo in un mondo futuro? Povertà, fame, pianto sono realtà
da vivere ringraziando, sentendosi beati, perchè è attraversando queste
situazioni di vita che troveremo in cielo una grande ricompensa?
Soffrire oggi, per gioire domani. Una vita spezzata. Per me la vita è
una linea continua, non so dove si fermerà, ma del resto questo è il
mistero che la mia fede ha deciso di accettare. La mia natura umana può
gestire solo l'oggi: è in questo che devo trovare la mia felicità, una
situazione che mi fa star bene, che dà senso alle mie giornate e alle
mie attese ... la felicità cui tendo non si oppone alla povertà e al
dolore, ma non li vivo come "beatitudine", ma come situazioni che
rientrano nelle possibilità del mio vivere. La parola "sacrificio" sta
scomparendo nella nuova teologia. Non c'è più il sacrificio della messa,
ma la gioia della partecipazione a un momento di comunione. Ed è un
punto di arrivo molto importante e non facile. Ciascuno di noi tende a
proteggere un nucleo più intimo di pensieri profondi, di convinzioni e
di speranze che fatica a mettere in comune; ci mettiamo in gioco poco,
ci ritraiamo molto spesso. Io credo che la felicità la troviamo invece
quando scopriamo che la nostra umanità è tale perchè è dentro
all'umanità dell'altro. Gesù nelle beatitudini non si rivolge infatti
all'individuo, ma alla società. E' la comunità che deve farsi carico di
situazioni di povertà e sofferenza. Così si realizza la giustizia e, nel
legame con il mondo, anche il "nostro diritto ad essere felici".
Sandra Rocchi
mercoledì 27 febbraio 2019
giovedì 13 dicembre 2018
La Chiesa del silenzio
Con la denominazione “chiesa del silenzio” ci si riferisce a una chiesa
oppressa e perseguitata da un sistema politico ostile. Storicamente sono
state chiese del silenzio quelle dell’est europeo sotto il potere
dell’Unione Sovietica. Ma la definizione “chiesa del silenzio” si
estende anche a tutte quelle comunità cristiane, a qualunque latitudine,
che vivono nel nascondimento, nella clandestinità, in luoghi dove non è
consentito dichiararsi apertamente cristiani e dove ogni forma di culto
o di attività evangelica viene severamente proibito e represso. Ma
questa chiesa del silenzio, anche se è invisibile, è esistente. È
silenziosa perché viene costretta al silenzio, non per propria scelta. È
una chiesa martire, ma per questo viva e vivificante.
C'è un’altra chiesa, in silenzio, è quella ben visibile, ma praticamente
devitalizzata, che può parlare, e straparla, di quel che non le
compete, ma tace sul suo unico mandato, quello di cercare “il regno di
Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33).
È questa una chiesa silenziosa non perché costretta al silenzio, ma che
tace semplicemente per convenienza. È silente perché connivente con
ogni forma di potere, pur di non diminuire il proprio. Ma una chiesa,
che per motivi di opportunità taccia, non ha nulla a che vedere con quel
Gesù, che non ha soggezione di alcuno perché non guarda in faccia a
nessuno (Mc 12,14),
e che invia i discepoli ad annunziare la buona notizia senza aver paura
della persecuzione (“Non abbiate dunque paura di loro…”, Mt 10,26; 5,10). Una chiesa che invita ad annunciare sempre e in ogni circostanza la Parola (“Guai a me se non annuncio il Vangelo!”, 1 Cor 9,16), senza calcoli di convenienza: “insisti al momento opportuno e non opportuno” (2 Tm 4,2).
Le guide, i pastori e i fedeli delle chiese costrette al silenzio hanno
spesso pagato, e pagano tuttora, con la persecuzione, il carcere, e
anche la morte, la loro fedeltà al vangelo di Gesù. Ma il Signore si
identifica con essi (Gv 15,20).
I pastori e i fedeli della chiesa in silenzio, quelli che non parlano
perché è più conveniente restare zitti, non solo non offrono la propria
vita per salvare il gregge (Gv 10,11),
ma tacciono, per non disturbare il lupo. Vedono il massacro perpetrato
dalle belve, ma preferiscono tacere. Non alzano la voce contro
l’ingiustizia per non perdere i benefici che il lupo, il potente di
turno, può loro togliere o elargire. Ma per il Signore, quei pastori che
per il loro interesse, per il loro quieto vivere, per non mettere in
pericolo la loro posizione, la loro carriera, non difendono il gregge,
sono più pericolosi delle bestie feroci. Il gregge infatti cercava in
essi una protezione, e ha invece trovato fauci spalancate (“Strapperò
loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto… sono come
lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente
per turpi guadagni”, Ez 22,27; 34,10).
Per Gesù, costoro non sono neanche pastori, seppure pessimi, ma solo
dei mercenari che svolgono un’attività esclusivamente per il proprio
interesse e a proprio vantaggio, perché “non gli importa delle pecore” (Gv 10,16).
"Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!” (Mt 7,15)
avverte Gesù. E il Signore indica anche come riconoscere questi
elementi pericolosi. Sono quanti sbandierano il vangelo, ma lo negano
con loro comportamento (“Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, Mt 7,21).
Di fronte all’esibizione di inutili attestati di ortodossia, e
l’ostentazione di simboli religiosi, il Cristo dirà loro: “Non vi ho mai
conosciuti” (Mt 7,23),
perché l’unica garanzia di comunione con il Cristo è una profonda
compassione, umanità, una tenerezza che porta a non escludere nessuno
dal raggio d’azione del proprio amore.
I pastori che non solo non smascherano i falsi profeti, ma li imitano,
per non perdere la loro posizione di privilegio e prestigio, sono anche
essi falsi profeti, disposti a piegarsi come giunchi ad ogni vento (Mt 11,7),
di adattarsi ad ogni politica, fosse anche la più disumana e quindi
antievangelica, sapendo che così ne avranno solo benefici.
Il vero profeta è l’uomo dello Spirito, come Giovanni il Battista. È su
di lui che scende la Parola di Dio, e non sui potenti (“La Parola di Dio
venne su Giovanni”, Lc 3,2),
e per questo riesce ad affrontarli e sfidarli, da quei farisei che
vogliono impedirgli la sua missione (“Perché dunque tu battezzi se non
sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”, Gv 1,24), a quell’Erode al quale grida: “Non ti è lecito!” (Mt 14,4).
E ci ha rimesso la testa. La fedeltà al messaggio di Gesù comporta il
rifiuto e la persecuzione da parte del potere, ma il tradimento alla
buona notizia comporta il rifiuto da parte del Cristo (“Chi si
vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione
adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui”, Mc 8,38).
Per questo la vera Chiesa, quella del Cristo, è da sempre la chiesa
degli apostoli e di Pietro, gli antesignani della disubbidienza civile:
“Bisogna ubbidire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29).
Alberto Maggi
venerdì 7 dicembre 2018
Corsi e ricorsi storici
Sono nata nel 1938. E' subito chiaro quali siano stati i miei primi
anni di vita. Eppure, proprio in questi, ricordo di aver visto vivere
solidarietà, generosità, condivisione, grande desiderio di libertà: il
tutto accompagnato da grandi rischi che spesso hanno portato a pesanti
conseguenze. Non ho mai sentito però dubitare sulla necessità di vivere
la disobbedienza civile ... questa la vita, l'esempio che mi hanno
regalato i nonni, i miei genitori, gli zii, fratelli del papà ...
Poi
, in mezzo una lunga vita e ora ho 80 anni: Ma alla fine della mia vita
si stanno riproducendo gli anni del suo inizio. Come penso di viverli?
Quanta genuina generosità, desiderio di condivisione e libertà ho
appreso dai miei cari, che mai come oggi vorrei avere vicini? "Se sarò
raggiunta dal loro messaggio", devo mettermi in cammino, scoprire, non
trascurando la conoscenza, che si fa ogni giorno più drammatica, che
cosa posso fare, io, personalmente, seguendo la mia coscienza per
aiutare quella larga parte di umanità che oggi viene così pesantemente
offesa. Non devo aver certamente dubbi sul scegliere la disobbedienza
civile, da sola e in gruppo, perchè le leggi ingiuste non possono
obbligarmi a nessun rispetto se mi allontanano da scelte di vita ben più
profonde.
I giornali, la televisione, come sempre in
questi periodi di oscurantismo, non dicono nulla, nulla che possa
orientare le mie scelte. Allora il primo impegno è scegliere il canale
giusto di comunicazione per informarsi ed informare e dedicare a questo
tutto il tempo necessario. Se si entra in questa prospetiva (ciascuno ha
la sua ovviamente) è possibile conoscere persone e creare gruppi e, con
quella creatività che nasce dal confronto, organizzare attività,
predisporre situazioni di aiuto concreto e diffuso per tutti questi
poveri, ogni giorno più numerosi ..."prima che gridino anche le pietre"
secondo l'ultimo e interessante libro di Zanotelli.
Qualcosa
iniziamo a fare ... ma anche nello spazio più piccolo della mia famiglia
questo Natale deve dire qualcosa di diverso, deve segnare un
cambiamento in tutti noi (grandi e piccini), deve essere il superamento
di ogni forma e approfondire invece la capacità di saperci esprimere la
gioia dell'essere insieme solo attraverso la solidarietà verso gli
altri.
Scusatemi: mi sono dilungata un po' troppo, ma comincio
a sentire tanto la nostalgia delle nostre chiacchiere prima della messa
... un abbraccio.
Sandra Rocchi